Catanzaro e la Nobile arte della seta: storia di un’eccellenza da valorizzare - itCatanzaro

itCatanzaro

ARTE ARTIGIANATO STORIA

Catanzaro e la Nobile arte della seta: storia di un’eccellenza da valorizzare

Matasse Di Seta Colorata Con Tinte Naturali

L’arte della lavorazione seta fu l’antico vanto della città di Catanzaro e rese la città dei Tre Colli rinomata in tutta Europa, per la grande qualità e la raffinatezza dei manufatti prodotti nelle sue filande.

Quest’attività si sviluppò in tutta la Calabria a partire dal VI secolo, sotto il dominio bizantino e si incrementò al punto da far concorrenza allo Stato della Siria. Complice il clima mediterraneo, che favoriva la fioritura del gelso, le cui foglie costituiscono l’unica fonte di nutrimento del baco.  Tra le regioni dell’impero bizantino, la Calabria si distingueva per la produzione dei bozzoli e la loro trasformazione in seta grezza. Una parte della produzione calabrese andava ad arricchire i centri manifatturieri locali come Catanzaro, dove si producevano tessuti di tipologia bizantina come il “Pallidarium” e il “Sindonem”.

Bozzoli San Floro
BozzoliMuseo didattico della seta, gestito dalla Cooperativa Nido di Seta di San Floro (CZ)

Nella città dei Tre Colli, soprattutto la tessitura assunse un’importanza considerevole. I progressi dell’arte della seta a Catanzaro sono testimoniati dal dono di uno stupendo parato in velluto verde stellato in oro, che la città fece a Ladislao di Durazzo nel 1397, per gratitudine dell’esenzione da alcune gravezze sulla tintoria. Questo parato era di tanto merito che il re lo adoperò per far tappezzare la sala del trono in Castel Capuano. Da quel momento l’arte progredì sempre di più, al punto da meritare privilegi e pergamene da parte dei sovrani. Inoltre, nel 1519, l’imperatore Carlo V concesse alla città di Catanzaro il Consolato dell’Arte della Seta, che implicava anche dei privilegi fiscali e fino a quel momento, era stato concesso solo alla città di Napoli.

Dalle “Memorie storiche della città di Catanzaro”, del Patrizio Vincenzo D’Amato, pubblicate nel 1680, si evince che i telai operanti in città erano «oltre mille» ed essi tessevano «velluti piani e tele di ogni conditione, alle quali mescolando l’oro e l’argento in sottilissime lamette tirati, formano i più ricchi, vaghi e dispendiosi drappi, ornati di artificiosi lavori; e per tutta l’Europa tramandansi con invidia non ordinaria di molte nazioni … Stanno impiegati in questa professione settemila persone … e da questa industria cavano i cittadini non ordinario guadagno, poiché dappertutto, infino alle Spagne, in Francia, in Inghilterra et in Venezia tramandandosi queste tele, entra in città giornalmente il denaro».

Come si evince dalle memorie del cronista, dunque, nel 1670 l’arte della seta era in pieno rigoglio a Catanzaro. A quell’epoca in città vi era generale agiatezza, dati i fortissimi guadagni che la seta procurava ai suoi cittadini. Il prodotto aveva varcato i confini d’Italia e per qualità e prezzo batteva ogni altro, se riusciva a dominare i mercati mediterranei, dove non mancava la concorrenza di altri importanti centri manifatturieri.

San Floro Museo
Museo didattico della seta, gestito dalla Cooperativa Nido di Seta di San Floro

I tessuti catanzaresi

Le stoffe create nei laboratori di tessitura catanzaresi erano tanto pregiati da venire nominati negli atti notarili e testamentari subito dopo i gioielli. Accanto ai velluti, di cui Catanzaro aveva l’esclusiva, si produceva anche l’“amoer” (il “moire”), famoso anche il damasco detto appunto “catanzarito”. C’erano poi il “tabì”, tessuto ricco simile alla faglia di colore nero, usato per abiti e toghe dei dottori in legge alla regia udienza e l’“ambrosino”, più leggero del damasco, usato per le “candusce” (dal latino “caudam ducere”), abito femminile dal lungo strascico. Inoltre erano state introdotte delle macchine, certo sofisticate per il tempo, atte ad “ondare”, cioè pieghettare il tessuto.

Le tinte dei tessuti catanzaresi erano realizzate attraverso l’uso di coloranti naturali. In particolare il celeste derivava da una mistura di polveri denominata “castello”; il cremisi, un colore rosso acceso, si produceva dal kermes (colorante ricavato dall’essiccazione di un tipo di conchiglia, molto adoperata dai tintori catanzaresi, che dava al tessuto lucentezza e vivacità inalterabile per secoli). Lo scarlatto si estraeva dalla radice della robbia, che cresceva spontanea nei campi non coltivati.

Il nero si otteneva creando un colore blu-notte molto cupo o un marrone scurissimo, realizzati dal mallo delle noci o dalla “noce di galla” prodotta dalle querce. Il giallo oro, chiamato anche amariglio, si produceva sia bollendo la terra gialla di Tropea (dalla quale, una volta decantata leggermente, si otteneva un liquido chiarificato che dava alla seta quel meraviglioso colore oro), sia dall’erba “gialla di Tropea” che cresceva spontanea nei dintorni della stessa cittadina tirrenica, nel circondario dell’allora Monteleone e nei pressi di Caraffa di Catanzaro, ma in quest’ultima zona con proprietà tintorie minori.

«… quando Roberto il Guiscardo, nella guerra del Pleoponneso, fece prigionieri gli artefici della seta di Antiochia e li portò a Palermo ad insegnarvi l’arte della seta, quest’arte esisteva antica a Catanzaro».

Filippo Marincola S.Floro, segretario della Camera di Commercio di Catanzaro -1859

Un’affermazione che ci suggerisce il carattere millenario di un’arte che coinvolse profondamente la città di Catanzaro per circa settecento anni. Secoli in cui questa città ricopriva a tutti gli effetti il ruolo di capitale europea della seta, per l’eccellenza dei suoi manufatti. I setaioli catanzaresi furono anche chiamati in Francia ad insegnare la loro arte agli artigiani del luogo, quando a partire dal 1470, i sovrani francesi vollero impiantare delle seterie nelle città di Tours e Lione.

Un sogno che purtroppo era  destinato a finire con l’avvento del vice regno spagnolo, la cui politica finanziaria finì per avere degli effetti nefasti sull’economia dell’intera regione per la forte pressione fiscale. La crisi si delineò a partire dal 1673 : i numerosi aumenti previsti dalle nuove norme colpivano il prodotto serico all’origine, finché nel XVIII tramontarono gli antichi fasti dell’arte della seta che, per secoli, aveva caratterizzato l’economia di Catanzaro.


In città non esiste un museo della seta, anche se dei preziosi manufatti provenienti dalle antiche filande di Catanzaro, esistono ancora numerosi esemplari che sono conservati soprattutto nelle sacrestie di tante chiese della città ed alcuni all’interno del Museo Diocesano. È il caso, ad esempio, della chiesa del SS. Rosario, della Basilica dell’Immacolata, della Cattedrale di Santa Maria Assunta, del Monte dei Morti, di Santa Maria de Figulis, di Santa Maria del Carmine, di San Biagio alla Maddalena. Ognuna, in quantità maggiori o minori, è custode di importanti parati sacri, veri e propri oggetti di alto artigianato tessile ascrivibili ad un arco di tempo compreso tra i secoli XVI e XIX.

Essi rappresentano una testimonianza visiva e tangibile di straordinaria importanza, determinante per costruire una storia cittadina della cultura artistico-sociale dell’arte della seta. Un’arte che così tanto ha saputo dare alla città e potrebbe ancora continuare a farlo se si valorizzasse adeguatamente questo immenso patrimonio.

Angela Rubino

Seta Lione Libro Copertina
Angela Rubino
La Seta a Catanzaro e Lione, Rubbettino 2007
Catanzaro e la Nobile arte della seta: storia di un’eccellenza da valorizzare ultima modifica: 2020-04-21T00:00:22+02:00 da Angela Rubino

Commenti

Promuovi la tua azienda in Italia e nel Mondo
To Top