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Catanzaro ha il cuore di paese, riflessione di Felice Foresta

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Catanzaro ha il cuore di paese. Sì, è proprio così. Non è un’offesa. Per me, è il miglior complimento, il massimo atto di riconoscenza e stima alla nostra città.

Catanzaro è un fraseggio orografico non sempre agevole. Anzi, piuttosto accidentato anziché no. Un dedalo di viuzze, incollate a una lingua di corso, che hanno radici antiche. Nei suoi quartieri a nord, quasi alle falde della Sila. E a sud, dove scivolano sul mare più bello che ci sia. Lo Jonio, mare del mito e delle muse. Quelle viuzze s’intersecano con le sorelle che vengono da ovest dove, adagiato a una collina dolce di pietra e di smeriglio, riposa il suo ventre antico, Gagliano. Il quartiere più bello e identitario, forse. Un altro ponte ha congiunto Catanzaro a est, alla sua pineta e alla sua campagna più vera. Il suo groviglio di cammini, però, la nostra città l’ha saputo plasmare a sua immagine e somiglianza. Senza insidiare l’essenza straordinariamente ricca di ogni singola appendice, e senza sacrificarla nel nome di una municipalità che, probabilmente, nella sua pienezza non si è mai realizzata. Forse, perché ancora oggi non ha compreso appieno l’importanza del suo ruolo di capitale dellaregione.

Ma l’aver mantenuto il cuore di tanti paesi è stato un male? Fine a un paio di mesi fa, probabilmente, avremmo dato una risposta diversa. Avremmo accusato la nostra perifericità e la nostra statura incompiuta per averci impedito di muoverci alla pari, sul filo arroventato di un progresso che ci vuole tutti belli, ricchi e vincenti. Tutti pronti a dialogare con il mondo sulla superficie patinata dei luoghi comuni e di una meta da raggiungere a tutti i costi senza, magari, però neppure conoscerla. Oggi no, il nostro cuore di paese ci serve. Anzi ci è già servito ad affrontare, con i calli della rinuncia e con le ferite della nostra storia, un morbo sinistro e subdolo. La nostra immarcescibile vocazione a perpetuare il senso del destino e dell’alterità ci ha dato una mano. Perché il paese è dove esiste un prossimo. E noi, anche nel silenzio dei sorrisi strozzati dalla paura e dal contagio, al nostro senso del prossimo e dell’altro non abbiamo voluto rinunciare. Magari, con la sola parola, con un sorriso degli occhi allungato anche agli sconosciuti che si nascondono dietro una mascherina, con un saluto consegnato al vassoio del vicinato, con una poesia dei nostri padri letta tra una pentola che sbuffa di salsa e pazienza, un consommé di saggezza e tradizione. 

Adesso, però dobbiamo pensare ad altro. A noi, certo. Maanche agli altri che, come noi, hanno un cuore diverso. Il cuore di paese. Lo straordinaria ricchezza del cuore di un paese dove, come ricordava Pavese, non si è mai soli. Dobbiamo pensare al cuore dei tanti paesi che abbiamo sempre pensato fossero nostri, senza averli nemmeno, forse, visitati. Quei paesi che, comunque, ci sono appartenuti e ci appartengono perché noi siamo la città capoluogo, po’ madre e un po’ chioccia. Quei paesi che, adesso, sentiamo ancora più vicini e nostri. Perché in molti di loro la pandemia è stata vera, una condanna di morte che li ha confinati in un isolamento bellico e tristissimo.

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Cutro, Rogliano, Montebello Jonico, Chiaravalle Centrale, San Lucido, Oriolo, Torano. E ne dimentico, forse, qualche altro. Sono i borghi calabresi diventati, loro malgrado, famosi e atterriti. Dal timore di soccombere. Grani di un rosario che questa beffarda malattia ha inghiottito nella morsa della paura, e tra gli aghi della morte. Come tutti gli altri quattrocento paesi della Calabria, adesso rischiano di cadere nell’oblio di una crisi economica che si annuncia magmatica e paludosa. Adesso, dunque, tocca a Catanzaro, prima di tutto, perché è madre e chioccia. Tocca, però, a tutti calabresi crederci, farne scommessa, e opportunità. E allora, dobbiamo avere, adesso o mai più, il coraggio di vincere una ritrosia provinciale. 

La riscoperta dei borghi gli esperti la chiamano turismo di prossimità. Quasi fosse un ripiego. Una concessione che non ci costa tanto. A noi, invece, ciò che parla di prossimo ci piace e ci è naturale. E’ un’elegia, però, che tutti dovremmo conoscere e declinare. I nostri paesi sono un mondo a parte. Non sono in competizione con nessuno. Sono un’altra cosa. Una cosa diversa, e come tutte le cose diverse, sono una ricchezza. Frugalità e radici, sono le rotte lungo cui hanno costruito la loro piccola epopea. Un domani che viene da lontano. La verità dei nostri avi che si perpetua. La loro non èuna bellezza da vetrina. Luminosa e finta. La loro è una bellezza racchiusa, sopita, dignitosa che riposa nella storia. Dei loro vecchi. Dei loro cani che rubano il sole in piazza. Delle loro fontane che hanno bisogno di accendersi ancora. Delle sedie nella ruga, come i folletti nelle favole. Di una crepa e di una ferita sul volto delle loro case. Dei loro piccoli eroi del quotidiano. La loro è la bellezza di un profumo. Bacca e sandalo, prugna e camino. Un profumo che restituisce al viso di un paese aneliti e stigmate d’immortalità. 

Forse, il tempo non ci basterà per leggere nel pentagramma della vita dei nostri paesi. Forse, ciò che lasceremo in un paese del nostro tempo nessuno ci insegnato che non è tempo perso. Quel tempo, invece, lo troveremo nelle coste della sera. Quando basterà rannicchiarci in un angolo di coscienza netta per sentirci paghi e sereni. Nel perimetro di una comunità che resiste. E vivi.

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Felice Foresta
Catanzaro ha il cuore di paese, riflessione di Felice Foresta ultima modifica: 2020-05-07T10:53:00+02:00 da Felice Foresta

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